LE GHIACCIAIE IN TOSCANA
La stagione del ghiaccio
In piena estate il desiderio di una bibita fresca o di un frutto dissetante può essere comodamente soddisfatto
dal frigorifero di casa, ma fino a poco tempo fa non era così semplice.
Per refrigerare bisognava procurarsi dei blocchi di ghiaccio che, tra mille difficoltà, venivano prodotti in inverno,
conservati fino all'estate e trasportati per lunghe distanze.
Un'arte antica, che si perde nella notte dei tempi: dalle grotte utilizzate dagli uomini preistorici come quelle delle Alpi
Apuane, alle ghiacciaie in muratura costruite ai tempi del Granducato di Toscana, ai singolari "laghi" di Firenze, Prato e Pisa, fino alle moderne fabbriche del ghiaccio del dopoguerra.
Il ghiaccio è uno dei più antichi metodi di conservazione degli alimenti, assieme alla salatura,
all'affumicatura e all'essiccazione, ma era l'unico capace di conservare i sapori e la consistenza originari: per questo diede vita
ad un intenso commercio, tanto che il periodo da giugno a settembre poteva essere chiamato la "stagione del ghiaccio".
Sete di ghiaccio
Gli uomini preistorici avevano la necessità di assicurarsi scorte di cibo per far fronte a periodi non propizi
alla caccia, alla pesca ed alla raccolta, e lo conservavano immerso nella neve accumulata in grotte, avvallamenti naturali del terreno o
fosse scavate in luoghi accuratamente scelti, utilizzando strati di terra come isolante termico.
Questo metodo è stato utilizzato fino a pochi decenni fa in molte zone montane come sul Monte Amiata (Siena / Grosseto): alcuni anziani possono ancora oggi indicare i siti di queste "buche della neve".
Via via che le città si espandevano, aumentava la richiesta di ghiaccio: già
nell'antica Roma esistevano magazzini refrigerati con il ghiaccio proveniente dalle zone montane dell'Italia centrale.
Una simile organizzazione venne riproposta dalla fine del '600 ai tempi del Granducato di Toscana,
fino a diventare alla fine dell'800 un sistema articolato ed organizzato di decine e decine di ghiacciaie
in diverse località montane della Toscana: Monte Senario, Abetone, Le Piastre (Appennino Pistoiese), Passo del Cerreto (Lunigiana),
Monte Falterona (presso il Passo della Calla), Monti del Chianti e Monte Amiata. Non è inoltre trascurabile la concomitanza del periodo
di costruzione di questa filiera del ghiaccio con la piccola era glaciale verificatasi tra il 1550 ed il 1850.
Buona parte del ghiaccio prodotto nelle zone montane raggiungeva le città di pianura. Ad usare il ghiaccio erano
sopratutto i ricchi. I regnanti di Firenze avevano a disposizione due "diacciaie" in muratura nel Giardino di Boboli,
e le ville aristocratiche ed i conventi erano dotati di una stanza sotterranea ricavata vicino alle cucine usata come diacciaia.
Ghiacciaie senesi
Molte ghiacciaie sono andate perdute e sono ricordate solo dalla toponomastica: nel centro storico di
Siena, la "via di diacceto" testimonia che qui il ghiaccio veniva conservato in delle buche scavate nel "tufo",
dette ghiaccere o diaccere; non a caso interseca via di Beccheria dove, come dice il nome, si lavorava e si vendeva la carne.
Alcune ghiacciaie in muratura esistono ancora, come nelle aree montuose del
Chianti:
- La ghiacciaia del Castello di Brolio in Chianti, che soddisfava le esigenze del Barone
e della sua corte, ha una graziosa forma ottagonale con un cuspide in pietra serena, mentre il resto della struttura è in mattoni;
l'ingresso alla camera del ghiaccio avviene con un breve corridoio coperto con volta a botte (il castello è aperto alle visite).
- La ghiacciaia di Radda in Chianti, costruita nel 1897 dall'Amministrazione comunale
poco fuori le mura del paese e oggetto nel 1991 di un raro esempio di recupero funzionale in quanto adibita a negozio di
souvenir, oggi chiuso. Ha una forma tronco-conica ed è realizzata in pietra locale (alberese, un calcare marnoso di colore biancastro);
l'ingresso alla camera del ghiaccio avviene con una passerella laterale, mentre la neve veniva introdotta dall'alto, attraverso una botola tuttora esistente.
- La ghiacciaia di Castellina in Chianti, all'interno delle mura, in seguito utilizzata
come rifugio contro i bombardamenti ed oggi riadattata a ristorante.
Un'altra ghiacciaia si trova nel sud della provincia, a San Quirico d'Orcia, nel parco
pubblico degli Horti Leonini: fu costruita nel 1893 dalla Pia Associazione della Misericordia per immagazzinare il ghiaccio necessario
agli scopi sanitari.
Ghiaccio di neviera
Per produrre al meglio il ghiaccio, la ghiacciaia (o più propriamente "neviera" o "nevera") deve essere esposta a
nord, seminterrata, dotata di spessi muri e gestita da maestri.
Durante l'inverno, la neve veniva introdotta attraverso una apertura nella parte sommitale e subito
costipata, in modo che si trasformasse in ghiaccio. Per meglio amalgamare la massa innevata veniva anche aggiunta acqua.
Si presume che la ghiacciaia veniva riempita fino al massimo consentito, e poi il livello scendeva fino a quello del cunicolo di
accesso laterale, dovuto ala naturale compattazione ed al lento scioglimento.
La forma migliore era quella tronco-conica, che si restringeva verso il basso: in questo modo il ghiaccio,
che lentamente si scioglieva ai bordi, scendeva e manteneva il contatto con le pareti, per cui non si formavava una intercapedine dove l'aria
avrebbe accelerato il processo di liquefazione. Anche le acque di scioglimento stagnanti avrebbero accellerato la liquefazione,
e per questo le neviere disponevano sul fondo di un sistema di raccolta o di drenaggio.
Una volta riempita, la ghiacciaia veniva chiusa fino al momento della vendita del ghiaccio, quando veniva
tagliato in blocchi e venduto anche alla popolazione del luogo: a Radda in Chianti costava 15 centesimi al chilo per i poveri e 30 per i ricchi.
e ghiaccio di conserva
Una parte del ghiaccio prodotto nelle neviere raggiungeva le città vicine, su carri trainati da buoi, in lunghi viaggi notturni, all'interno di apposite botti
coibentate con sughero.
Nelle città di pianura esistevano altre ghiacciaie (dette più propriamente "conserve") che servivano ad immagazzinare il ghiaccio proveniente dalle zone montane circostanti. A Firenze una di queste ghiacciaie
si trova nel Parco delle Cascine, costruita nel 1897 con una curiosa forma piramidale dettata dal gusto orientalegggiante dell'epoca. Da qui, al mattino presto, partivano barrocci e carrettini che vendevano ghiaccio per le vie della città.
Nelle case veniva riposto in appositi armadi divisi in due parti, una per accogliere il ghiaccio e l'altra le derrate da conservare.
Il ghiaccio serviva per conservare cibi deperibili, per scopi terapeutici (abbassare la febbre, diminuire il dolore) o
semplicemente per gustare granite nelle torride giornate estive: a Firenze, infatti, si era diffusa la moda del "bere freddo".
Ben presto le ghiacciaie furono dismesse ed andarono in rovina. Alcune sono state recuperate:
è il caso della ghiacciaia di Castellina, oggi ristorante, o quella di Radda, che nel 1991 fu adibita a negozio grazie alla felice posizione lungo il viale
che circonda le mura medievali, ed oggi di nuovo chiusa: dalla sommità si gode comunque un bel panorama sulle colline del Chianti.
I laghi per il ghiaccio
Il trasporto del ghiaccio verso le città era costoso e difficile, e questo lasciò spazio ad espedienti per produrlo in zone dove non
si verificavano abbondanti nevicate, per esempio utilizzando l'acqua di laghi e di fiumi, anche se il ghiaccio era di minore qualità a causa delle impurità.
A Pisa vennero utilizzati i fossi dei bastioni. A Firenze si usava l'acqua dell'Arno o quella di
laghi appositamente realizzati ("laghi per il ghiaccio"). A Prato vennero utilizzate le acque delle gore: piccoli canali che fin dal Medioevo portavano l'acqua del Bisenzio
attraverso la città per fornire forza motrice ai molini e lavorare i tessuti.
Per ottenere il ghiaccio, la veloce acqua delle gore veniva deviata nei "laghi": fossetti lunghi e stretti, delimitati da muretti in
laterizio, presenti fino agli anni '30 presso l'antico convento di Santa Chiara. Trascorsa la notte invernale, si ottenevano lastre
di ghiaccio chiamate, a seconda delle dimensioni, "stanghe" o "stangoni".
Le fabbriche per il ghiaccio
Le produzioni artigianali di ghiaccio naturale vennero sostituite verso gli anni '30 da vere e proprie fabbriche di
ghiaccio artificiale: secondo il censimento ISTAT del 31 marzo 1954, in Italia esistevano 1425 impianti, dei quali 579 specifici per la produzione
di ghiaccio, ed i restanti 846 utilizzati per la conservazione dei prodotti alimentari perché in dotazione di centrali ortofrutticole.
Era un'industria ai primi posti nel mondo, capace di produrre 8-9 milioni di quintali di ghiaccio all'anno: stampi pieni
d'acqua potabile venivano immersi per poche ore in una vasca dove circolava una soluzione salina raffreddata da compressori, oppure messi a
contatto con gas liquefatti come ammoniaca o freon.
Il ghiaccio era utilizzato per conservare ortofrutta, uova del baco da seta (all'epoca l'Italia era il primo
produttore mondiale) e bulbi (nella già famosa Riviera Ligure), oppure per regolare la fermentazione dei mosti d'uva, o refrigerare
la crema di latte nella produzione del burro. Era anche impiegato negli ospedali e in alcune applicazioni industriali dove erano richieste refrigerazioni,
ovvero temperature non inferiori a 4 °C.
Negli anni '60 l'arrivo dei frigoriferi decretò il declino di questa attività, ma recentemente
è ripresa ed in crescita, con la produzione di sacchetti di ghiaccio alimentare pronto all'uso, sopratutto per la ristorazione:
- classici cubetti o sfere di ghiaccio da 25-30 grammi, per i cocktail;
- maxi cubi di ghiaccio o ice ball di 5 cm che si sciologono lentamente, per raffreddare i distillati di pregio senza diluirli;
- ghiaccio tritato per drink e granite;
- blocchi di ghiaccio per ice carving, cioé la scultura del ghiaccio.
L'arte del ghiaccio
Fabbricare del buon ghiaccio non è semplice: deve essere compatto e poco fragile, cristallino e non opaco.
Il prezzo, infatti, varia in base alla qualità.
Prima di tutto è importante la qualità dell' acqua, la quale può contenere sali che causano
il rallentamento della congelazione (sali di sodio e di potassio), fragilità (bicarbonato di sodio), opacità (solfato di sodio),
aspetto gelatinoso (ossidi di silicio ed alluminio), colorazione rosa (ossidi di ferro) o giallo fangoso (sostanze organiche).
Per questo la migliore materia prima era la neve, oppure l'acqua distillata o depurata dai sali in eccesso.
Importante è poi la fase di congelamento: poiché procede dalla parte esterna a quella interna, la diversa
temperatura nei singoli strati determina dilatazioni differenziate che producono tensioni e fenditure. E' quindi necessaria una uniforme
distribuzione del freddo e la gradualità dell'abbassamento della temperatura, oltre l'agitazione dell'acqua per eliminare l'aria,
principale responsabile dell'opacità.
Delicata era anche l'estrazione ed il trasporto dei blocchi di ghiaccio, in quanto il passaggio repentino ad una
temperatura più alta provoca rotture tra strati esterni ed interni.